Carole A. Feuerman: Pop Superrealism
Di Demetrio Paparoni
L’estremo realismo delle giovani donne di Feuerman è la traduzione di una condizione interiore. Gli occhi chiusi, il sorriso accennato, la piega delle labbra, i segni di espressione suggeriscono un momento di pienezza dell’essere in cui il sentire prevale sul pensare. Sollevano la testa per immergersi nella natura, per farsi accarezzare il volto dai raggi del sole o dalle gocce d’acqua che aspettano di asciugarsi sul loro corpo. Ogni tormento interiore sembra placarsi a contatto con gli elementi naturali. Nello stesso tempo il corpo diviene uno strumento di conoscenza della realtà. L’immediatezza delle sensazioni, che precede il pensiero, permette a questi soggetti di vedere anche a occhi chiusi.
Siamo lontani dalla fragilità della Petite Danseuse de quatorze ans (1881) a occhi chiusi di Edgar Degas o dalla critica sociale che Duane Hanson sviluppa sul finire degli anni Sessanta e che emerge dalle donne in vacanza che prendono il sole sdraiate su lettini di plastica, talvolta circondate da riviste, thermos e snack. Per realizzare la sua Petite Danseuse de quatorze ans, tra il 1878 e il 1881 Degas utilizzò cera d'api pigmentata, argilla, anima metallica, corda, pennelli, capelli umani, nastro di seta e lino, corpetto di faille di cotone, tutù di cotone e seta, scarpette di lino e legno. La scultura, oggi custodita alla National Gallery of Art a Washington, è il prototipo di una serie di fusioni ottenute dopo la morte dell’artista che, per quanto impeccabili sul piano tecnico e formale e capaci di esercitare una grande fascinazione, non hanno oggi ai nostri occhi la stessa potenza espressiva del modello originale. Questo esperimento rivoluzionario, che vedeva un corpo modellato a cera, con capelli veri legati da un vero nastro di lino e seta, indossare un vero corpetto, un vero gonnellino di tulle e vere scarpette da danza, fu poco apprezzato dalla critica alla sua prima presentazione alla Sesta mostra degli impressionisti nel 1881.
Petite Danseuse de quatorze ans coglieva e presentava la realtà senza cadere nella tentazione della idealizzazione, una realtà che non era solo quella tangibile degli elementi veri utilizzati, ma anche quella intuibile della difficile condizione vissuta dalle giovani allieve della scuola dell’Opera di Parigi, una delle quali era la modella dell’artista. La base di legno della scultura rimanda al parquet del salone in cui le ballerine provavano e con il duro lavoro cercavano di guadagnarsi una carriera nel corpo di ballo. Molte di loro venivano da ambienti poveri e disagiati da cui talvolta non riuscivano ad affrancarsi o a cui tornavano dopo aver vissuto l’illusione di una vita migliore. Questo fu anche il caso di Marie van Goethem, la giovane modella di Degas, che fu espulsa dalla scuola dell’Opera all’età di quindici anni e finì per vivere di prostituzione. La ragazzina con il viso rivolto verso l’alto ha gli occhi socchiusi. Il fiocco annodato nei capelli è scivolato disordinatamente al di sotto della nuca. Le sue braccia sono allungate dietro la schiena, con le dita delle mani intrecciate. Il peso del corpo insiste sulla gamba sinistra, mentre la destra è più avanti e con il piede ruotato verso l’esterno.
La ballerina di Degas è uno dei tanti momenti di passaggio del processo che dal Rinascimento in avanti ha visto l’arte porsi tra i suoi obiettivi quello di avvicinarsi sempre più al vero. La prospettiva mirava a dare l’illusione di poter entrare nello spazio del quadro. Ma per quanto realistica potesse essere la rappresentazione, la superficie del dipinto restava un muro invalicabile. In un tempo a noi più vicino, i buchi (1949-1968) e poi i tagli (1958-1968) di Lucio Fontana, per esempio, sono stati il tentativo di superare la finzione della prospettiva: il vuoto determinato dal taglio sulla tela apre nell’opera a uno spazio reale in cui si può penetrare. Se volessimo, potremmo introdurvi un dito: lo spazio che vediamo oltre la superficie della tela non è più illusorio. I quadri specchianti di Michelangelo Pistoletto (i primi sono del 1964) o i lavori con gli specchi di Robert Smithson (i primi sono del 1969) sono un ulteriore tentativo di inglobare una realtà mutevole nell’opera. È in quegli stessi anni che, sulla spinta della sfida alla realtà, il realismo sociale di Hanson si traduce in iperrealismo. Policeman and Rioter (1967), un poliziotto bianco che manganella un manifestante nero inerme bloccandolo a terra con un piede, appare talmente veritiero da darci di primo acchito la sensazione che quell’azione stia realmente accadendo davanti ai nostri occhi.
Di lì a poco, Hanson ci mostrerà una donna che, sigaretta alla bocca, spinge il suo carrello pieno di merce. Per altro verso, sul fronte della pittura, Chuck Close, votato al superrealismo piuttosto che all’iperrealismo, dipinge Big Nude (1967-68) e, subito dopo, il suo primo autoritratto, quello con il mozzicone di sigaretta tra le labbra. In questo clima, artisti come John Clem Clarke, Richard Estes o Robert Cottingham erano impegnati a traghettare la pop art verso l’iper e il photorealism.
In quegli stessi anni Carole Feuerman lavorava come illustratrice, realizzando tra l’altro copertine di album discografici, di riviste, poster di film. Esperienza questa che si conclude nel 1978. A giudicare da quanti artisti hanno lavorato come grafici prima di raggiungere una propria cifra stilistica, viene da pensare che questo lavoro rientrasse in una dinamica ordinaria nella vita degli artisti americani di quei decenni.
Nella seconda metà degli anni Settanta le nuove generazioni hanno cominciato a guardare con un certo distacco tanto la pop quanto l’iperrealismo e, soprattutto, volendo ancor di più allontanarsi dalle esperienze segnate dal concettualismo e dall’astrazione minimalista, hanno accolto come un’apertura verso altre possibilità espressive il postmodernismo. Ed è proprio inserendosi nel dibattito sul postmodernismo che nel 1976 Feuerman realizza, tra le altre, Lace Panties e Hand on Bra, sculture da parete in resina dipinta, che raffigurano segmenti di corpi di donna. In Lace Panties delle mutandine bordate di pizzo coprono un bacino di donna e lasciano affiorare all’inguine i peli pubici. Le anche e la pancia non sono troncate di netto, il taglio presenta le asperità di una terracotta rotta, facendo percepire il trauma di una frattura violenta. Hand on Bra è un frammento di tronco di donna con una mano dalle lunghe unghie laccate che preme sul reggiseno. Queste due sono le prime di una serie di opere che fanno della poetica del frammento uno dei punti cardine della ricerca di Feuerman. Sul piano visivo questi lavori accolgono diverse influenze che derivano soprattutto dalle esperienze culturali degli anni Sessanta, in particolare dalla pop degli esordi, mentre sul piano teorico risentono delle tesi elaborate nel 1961 da Philip Johnson in contrapposizione alla visione razionalista del cosiddetto Movimento Moderno.
In arte il Postmodernismo irrompe proprio attorno alla metà degli anni Settanta, gli stessi anni in cui Feuerman si appropria di immagini ed elementi linguistici appartenenti al passato (dall’arte classica a Rodin, dall’archeologia alla pop) modificandone il significato proprio grazie al nuovo contesto e alle modalità con cui le opere vengono presentate. Di lì a poco, nel 1978, Julian Schnabel darà vita ai suoi primi quadri con i piatti rotti. L’anno successivo, nel 1979 Jean-François Lyotard, nel tracciare i presupposti filosofici del Postmodernismo, sosterrà che con il declino delle grandi costruzioni concettuali che hanno caratterizzato la Modernità – l’Illuminismo e il mito del progresso, lo storicismo idealistico, il marxismo – la condizione postmoderna si definisce per la frammentazione proprio di queste grandi costruzioni concettuali.
Venuta meno l’esigenza di nuove ideologie, a prevalere è una pluralità di linguaggi che dall’arte alla politica, dall’architettura alla filosofia non aspirano a restaurare inedite forme di totalità. È per questa ragione che le sculture della seconda metà degli anni Settanta di Feuerman, per quanto di matrice pop, riportano alla mente i reperti archeologici. Come dinanzi al frammento di un vaso o di una statua si tende a immaginare l’insieme, individuarne la provenienza, ricostruirne la storia e svelarne il significato, nelle sculture-frammento di Feuerman l’incompletezza spinge a uno sforzo di immaginazione per individuare il significato dell’opera. Questa pratica non è prerogativa esclusiva del Postmodernismo. Rodin pensava che un frammento può contenere il vero se restituisce l’essenza della realtà. Per lui la capacità di rendere il vero degli antichi nasceva dal fatto che erano dei grandi osservatori della natura. Nel 1904 Rodin racconta di aver trovato una mano di marmo da un rigattiere: «È spezzata al livello del pugno», scrive, «non ha più le dita, solo il palmo, ed è così vera che per ammirarla, per vederla vivere, le dita non servono. Pur mutilata basta a sé stessa, poiché è vera».
Una delle differenze sostanziali tra Rodin e gli iperrealisti alla Duane Hanson o John De Andrea sta nel fatto che, mentre Rodin voleva mostrare qualcosa che incarnasse l’idea del vero al punto tale da essere percepita come intrinsecamente vera, cioè come qualcosa che non mente, gli iperrealisti hanno voluto mostrare qualcosa che somigliasse al vero fino a ingannare l’occhio. La differenza è profonda e del resto non potrebbe essere diversamente, considerato che a separare lo scultore francese dagli iperrealisti americani c’è quasi un secolo. La maestria tecnica nel modellare la figura umana valse a Rodin nel 1877 l’accusa di aver fatto un calco di un modello vivo. Una polemica del genere negli anni Sessanta del XX secolo non avrebbe avuto senso: il lavoro di George Segal, per esempio, nasceva da calchi in gesso di persone. Segal non era un iperrealista, come non lo è stata e non lo è Feuerman, nonostante molti lo abbiano sostenuto. Gli iperrealisti sono storicamente collocati in una terra di mezzo tra pop e postmodernismo e più che creare un ponte marcano le differenze. Radicalizzando i termini della questione si potrebbe dire che tanto Segal quanto Feuerman nelle diverse fasi della loro produzione non hanno mai desiderato che i loro soggetti potessero essere scambiati per persone vere. È in questo senso che dinanzi ai frammenti di corpo di Feuerman della seconda metà degli anni Sessanta torna in mente l’aneddoto raccontato da Rodin sulla mano di marmo. Inoltre, nonostante Feuerman utilizzi anche il calco per le sue sculture, a differenza degli scultori iperrealisti per lei la completezza del corpo o la scala naturale non sono vincolanti.
Ci sono evidenti analogie tra le sculture della seconda metà degli anni Settanta di Feuerman e i calchi di gesso di Segal degli stessi anni, che riprendono parti del corpo umano e che lo stesso artista chiama Fragments. Prima di analizzare queste e altre analogie è utile soffermarsi sul concetto di “influenza”, le cui dinamiche sono da sempre di aiuto per comprendere il ruolo rivestito da un autore nella storia dell’arte. Queste considerazioni sono valide indistintamente per tutti gli artisti. Non esistono infatti artisti che non subiscano il fascino del lavoro di altri autori, talvolta anche in maniera subliminale.
Considerato che l’arte nasce sempre dall’arte, inevitabilmente ritroviamo nell’opera di un artista elementi che riportano alla mente la ricerca formale o concettuale di altri. Queste contaminazioni possono essere frutto di un’influenza “sentimentale”, di un’influenza “razionale” o di un’influenza “indiretta”. L’influenza sentimentale è una sorta di innamoramento che l’artista prova per il lavoro o per determinati aspetti del lavoro di altri autori. È frutto di ammirazione e financo di passione. Tra i diversi tipi di influenza questa è la più pericolosa che un artista possa accogliere, poiché rende più difficile il distacco dal modello di riferimento. L’influenza razionale è invece provocata dagli stimoli innescati dal rapportare il lavoro di un altro a sé e alla propria poetica con il distacco necessario a evitare la ripetizione pedissequa di un percorso già battuto. Questa è la più fruttuosa delle influenze, perché dà all’artista la possibilità di arricchire il proprio lavoro, mantenendo nel contempo la propria autonomia. Il terzo tipo di influenza è quella indiretta, che si manifesta nell’opera di più artisti quando uno stile, una narrazione, una tecnica, un metodo vengono assorbiti poiché si è immersi nello stesso contesto e si ricevono gli stessi stimoli. In quest’ultimo caso si può essere influenzati da un artista attraverso il lavoro di altri che ne sono stati a loro volta influenzati. Si può cioè assorbire l’influenza di Picasso o Warhol attraverso l’opera di artisti picassiani o wharoliani.
Feuerman ritiene di essere certa di aver subito solo il fascino di Michelangelo e di Rodin (che a sua volta aveva subito quello di Michelangelo) e di non avvertire razionalmente altre influenze, ferma restando la sua aderenza allo spirito del tempo.[1] È tuttavia innegabile che nel suo lavoro si ravvisino elementi che riconducono a diversi momenti della storia dell’arte. Nel caso delle affinità tra i suoi frammenti di corpo e quelli di Segal, artista della generazione precedente, ci troviamo dinanzi a un caso di influenza indiretta. Entrambi gli scultori hanno realizzato lavori che hanno come soggetto frammenti di corpo umano negli stessi anni, ma le differenze tra le loro opere sono evidenti: mentre Segal con un atteggiamento squisitamente modernista si è trovato a dare un senso agli scarti archiviati nel suo studio, appropriandosene come se questi fossero una sorta di oggetto trovato che egli stesso aveva realizzato e poi accantonato, Feuerman ha utilizzato il frammento secondo le dinamiche del postmodernismo.
Allora, Feuerman conosceva Segal solamente per le sue precedenti sculture in cui i corpi dei soggetti erano completi. Del resto va considerato che i Fragments di Segal non costituiscono un aspetto primario della sua poetica. In proposito la stessa artista racconta: «Dopo aver realizzato tutti i miei pezzi erotici frammentati e averli esposti alla MJS Gallery di Fort Worth nel 1979, ho riesaminato le opere di George Segal. Quella fu la prima volta che vidi che faceva frammenti di corpi. Avevo visto solo le sue installazioni di corpi interi. Non solo molti di essi erano simili ai miei, ma alcuni avevano persino lo stesso titolo. Ne rimasi stupita e avrei voluto incontrarlo, ma purtroppo non ci sono mai riuscita. Credo che avessimo una sorta di connessione astrologica».[2]
Ricostruirne la genesi dei Fragments di Segal ci consente di mettere in evidenza, attraverso le differenze, anche la natura dei frammenti di corpo di Feuerman.
Nel 1969 Segal decide di far diventare lavori autonomi i calchi non assemblati delle sculture realizzate nel decennio precedente coprendo parti del corpo umano dei suoi modelli con garze imbevute di gesso. Smette di considerarli scarti e nel maggio del 1970 espone alla Sidney Janis Gallery cinque di questi stampi all’interno di scatole e venti frammenti di corpi umani. Curiosamente questi lavori in gesso bianco si allontanano dalla poetica pop, manifestando piuttosto una sintonia con le sculture di Rodin e di Maillol. È solo tra il 1976 e il 1978, che Segal stenderà delle pennellate di colore su questi frammenti di gesso bianco, senza tuttavia cercare un effetto di maggiore realismo. Inoltre, sia nei frammenti di gesso bianco che in quelli colorati, la superfice rivela la trama della garza. Di questi frammenti Phillys Tuchman scrive che «rappresentazione e astrazione non sono mai state più chiaramente sintetizzate da Segal», precisando anche che, secondo lo stesso artista, i Fragments «devono essere nati da una sorta di impulso erotico o sensuale a definire pezzetti di labbra, dita, peni, pieghe della carne, linee intricate». Levigando maggiormente, ma non del tutto, la superficie «alla maniera dei marmi», prosegue il critico, i Fragments del 1976-78 di Segal «diventano dunque più sensuali ed erotici, diversi dagli iniziali gruppi di scatole».[3]
Da una prima comparazione di queste opere con i frammenti di corpo di Feuerman appare immediatamente evidente che a differenziarli è la ben più marcata impronta realistica impressa da Feuerman, che si sofferma puntigliosamente sui dettagli e su una superficie dipinta in modo da richiamare il reale. Laddove si avverte una trama è perché si vuole mimare il tessuto dei vestiti, oppure la texture della pelle, con le sue pieghe, i suoi pori, la peluria. Inoltre, in Feuerman i frammetti di corpo rimandano indiscutibilmente al tempo in cui sono stati realizzati grazie alla scelta del colore dell’incarnato o per il dettaglio della biancheria o dei vestiti, cosa questa che non avviene nei Fragments di Segal. Per altro verso, come Segal, anche Feuerman realizzerà delle opere monocromatiche bianche, alcune in marmo, altre in gesso. Riferendosi a queste opere, Feuerman precisa che «non si presentano come un tutto tondo. La parte retrostante è cava, liscia e appare come una forma astratta. Il mio scopo è mostrare la dicotomia della vita tra realismo e astrazione, tra ciò che sappiamo e ciò che non sappiamo, tra ciò che è definito e ciò che è incerto».[4]
Nel 1981, con le sculture delle bagnanti, Feuerman coglie e definisce appieno la sua cifra stilistica. La critica tenderà a inserire i nuovi lavori di matrice superrealista di Feuerman nel contesto dell’iperrealismo. A mio avviso, come ho modo di sottolineare in altre parti di questo testo, si tratta di una semplificazione dettata dalla tendenza della critica a collocare le opere degli artisti in caselle che ne consentono una facile catalogazione. A prevalere in Feuerman è piuttosto la matrice pop superrealista, definizione questa che ben si adatta anche ai lavori degli anni Ottanta e successivi di De Andrea. Va registrata infatti una sintonia tra le sculture post-iperrealiste di De Andrea e quelle superrealiste di Feuerman.
Gli iperrealisti storici hanno ritenuto che, poiché la realtà si impone sulla forma, la loro arte doveva mirare a confondersi con la realtà stessa. La loro è una forma di sperimentazione linguistica che tratta e restituisce il vero, il cui fine è indirizzare l’attenzione dello spettatore verso situazioni e cose che consideriamo ordinarie. Così facendo l’iperrealismo storico tiene lontano l’intimismo e l’illusione della ricerca di un momento ideale, che è invece una delle caratteristiche principali dell’opera di Feuerman. Non a caso, come sostengo altrove in questo testo, esiste una sintonia tra le sue bagnanti, gli atleti o le donne in meditazione e le persone in spiaggia dipinte all’inizio del XX secolo da Joaquín Sorolla.
Rappresentare un soggetto in maniera il più possibile realistica implica un’attenta scelta della tecnica e dei materiali utilizzati per la realizzazione delle sculture. Ma non è la rappresentazione minuziosamente realistica del dettaglio mimata dal giusto materiale a restituirci la realtà per come la percepiamo nella quotidianità. Lo dimostrano tra l’altro le sculture realizzate a partire dalla metà degli anni Novanta da Ron Mueck, altro artista etichettato dalla critica come iperrealista che, nonostante il marcato realismo del dettaglio, riesce a portare i suoi soggetti nell’ambito di una rappresentazione che include sogno e surrealtà.
Rispetto all’iperrealismo storico muta dunque radicalmente anche l’approccio alla figurazione, che come già detto in Feuerman si declina in chiave pop. È in tal senso utile una comparazione tra Beachball (1984) di Feuerman e Girl with Ball (1961) di Roy Lichtenstein. Nell’opera di Lichtenstein la ragazza con le braccia alzate con un pallone tra le mani è l’elaborazione bidimensionale del dettaglio di un manifesto pubblicitario. Lichtenstein ha utilizzato lo stesso linguaggio della pubblicità e, come nella stampa presa a modello, ha appiattito i colori, eliminato ogni effetto che simuli la tridimensionalità, disegnando nel contempo l’immagine con tratti netti e accentuando l’effetto del retino tipico della stampa tipografica. Lo stesso soggetto, sviluppato tridimensionalmente da Feuerman nella scultura Beachball, in resina dipinta a olio, si presenta incompiuto nella parte inferiore. Se l’opera fosse stata realizzata in marmo, avremmo pensato che il blocco da cui sono stati scolpiti tre quarti della figura attende di essere ulteriormente lavorato. In Beachball, ancora una volta, il riferimento è Rodin che, evocato per un’inedita interazione con un’immagine pop, rimarca l’approccio postmodernista alla figurazione da parte di Feuerman.
• In un’altra scultura, Leda and the Swan (2014) Feuerman interpreta un classico tema mitologico riconducendolo alla narrazione che le è più consona, quella delle bagnanti. Leda diventa una giovane donna in costume da bagno e cuffia sdraiata a prendere il sole su un enorme gonfiabile a forma di cigno. Il potente Zeus, che secondo una fortunata versione del mito inganna e seduce la regina di Sparta trasformandosi in un bellissimo cigno, nella rielaborazione di Feuerman perde ogni connotazione aggressiva. Appare placido, innocuo e persino servizievole nei confronti della donna che porta sul suo dorso. L’inganno, la seduzione, l’erotismo e talvolta la violenza che emergono dalle molte opere della storia dell’arte su questo tema lasciano il passo a una rappresentazione, non priva di una sottile ironia, in cui la donna esercita il suo potere a occhi chiusi, senza muovere un muscolo. Leda assorta in atteggiamento sereno e meditativo attinge in sé la propria forza.
Il cortocircuito tra il titolo e i due soggetti che danno l’avvio alla narrazione – la bagnate e il materassino a forma di cigno – rende chiara la relazione con il mito. Nello stesso tempo le modalità con cui Feuerman ha scelto di evocarlo lo allontanano lo allontanano dalla narrazione originaria. Ancora una volta i vari elementi linguistici si mescolano, facendo emergere, in questo caso, la componente pop del suo lavoro. Tanto basta a chiarire quanto sia inappropriato ricondurre il lavoro di Feuerman all’iperrealismo storico affermatosi nella seconda metà degli anni Sessanta.
Il richiamo ai lavori delle origini rimarca quanto detto. In Jean Shorts (1976) una mano indugia tra la coscia e il gluteo di una donna in shorts di jeans. Il dettaglio rende l’immagine ambigua, perché non permette di capire se stiamo osservando un gioco erotico oppure un atto violento. Una comparazione con la mano di Plutone che nel Ratto di Proserpina (1621-1622) di Gian Lorenzo Bernini afferra la coscia della dea mette in evidenza che solo la completezza dell’insieme può raccontare che si tratta di una scena di violenza. Isolato dall’insieme, quel dettaglio potrebbe erroneamente suggerire un momento di focosa passione. Nelle sculture-frammento di Feuerman l’interpretazione è aperta, anche se a prevalere è l’impronta erotica, che si andrà progressivamente attenuando nelle opere successive. Lavori come Lace Panties o in Hand on Bra si caricano di ulteriori significati se si pensa che a realizzarle è stata una donna, e che nel 1976 nei campus americani e nelle piazze europee non si era affatto assopito il clima di protesta e di rivendicazioni sviluppatesi nella seconda metà degli anni Sessanta. Al centro delle battaglie che miravano a far uscire le donne dai ruoli marginali in cui la società tende a relegarle c’era l’affermazione del potere decisionale sul proprio corpo. Le spinte che hanno caratterizzato l’idealismo degli anni a cavallo tra i Sessanta e i Settanta hanno giocato un ruolo determinante anche per la conquista di una maggiore libertà sessuale. Le opere degli anni Settanta di Feuerman esprimono orgogliosamente anche la maggiore libertà espressiva conquistata dalle donne.
Nel 1978, Feuerman realizzerà la sua prima versione di Catalina, un busto in altorilievo privo di braccia di una nuotatrice, appeso alla parete come fosse un quadro. La donna, con costume rosso, cuffia e occhialini da nuoto sulla fronte, è appena uscita dall’acqua. I lineamenti del volto sono distesi, ma l’assenza di braccia e della parte inferiore del corpo, i tagli non rifiniti, tornano a richiamare l’idea che a determinare la forma sia intervenuta una frattura. Il senso di perdita, rimarcato in Catalina dall’assenza di braccia e gambe, si ripropone con maggiore drammaticità in EN2. 02.78, del 1981, una scultura da parete in resina dipinta a olio, in dimensioni reali, nella quale la presenza umana è evocata da due braccia femminili e un braccio maschile aggrappati a una camera d’aria nera. Il misterioso titolo della scultura richiama i vecchi numeri di telefono che contenevano anche lettere, forse un possibile contatto nella nuova terra che l’uomo e la donna aggrappati al salvagente stanno cercando di raggiungere. A ispirare l’opera sono state le vicende legate alle traversate su mezzi di fortuna dei profughi in fuga da Cuba verso Key West, città dell’arcipelago della Florida.
EN2. 02.78 è, tra le opere di Feuerman, quella che probabilmente più di ogni altra consente di mettere a fuoco le spinte ideali che sottendono il suo lavoro. Tre anni dopo Feuerman realizzerà Innertube (1984), altra scultura da parete in dimensioni reali, nella quale una camera d’aria, sempre nera, ma più gonfia e priva di slabbrature, tiene a galla una ragazza con una cuffia bianca. La presenza della camera d’aria nera, di quelle che si recuperavano dai copertoni delle automobili, pone il dubbio che non si tratti di una bagnante che si gode la sua giornata al mare, ma di una profuga stremata che sta lottando per la sopravvivenza. La tragicità del tema colloca l’opera nell’ambito di un realismo drammatico, non estraneo alla pop – si pensi ai dipinti di Warhol che hanno come soggetto foto segnaletiche, incidenti stradali, sedie elettriche, poliziotti che picchiano un afroamericano, Jackie Kennedy al funerale del marito. Certamente c’è un contrasto tra questi soggetti e altri dello stesso Warhol, più frivoli, legati al mondo dei beni di consumo, della ricchezza, del divertimento. Nel corpo d’opera di Feuerman troviamo questo stesso contrasto tra soggetti drammatici come EN2. 02.78 o Innertube e altri più quieti, come Capri (1981), Shower (1981), Scuba (1984) o Waterskier (1984).
Nel 2007 l’artista è tornata a raffigurare un soggetto femminile su un salvagente che ha tutte le caratteristiche della camera d’aria di un autoveicolo. In questa nuova versione di Innertube, intitolata Survival of Serena, modificando la piega delle labbra e l’inclinazione della testa della ragazza, Feuerman ha reso i suoi tratti più distesi e rasserenati. Soprattutto, in contrasto con EN2. 02.78, in Survival of Serena il salvagente non è sporco e le gocce d’acqua sono limpide. Per quanto il salvagente ricordi ancora una camera d’aria, non c’è nulla in questo caso che lasci pensare a uno strumento di fuga. In ulteriori successive versioni di Survival of Serena il salvagente diventerà inequivocabilmente quello colorato delle bagnanti in vacanza. Tuttavia, i diversi passaggi che da EN2. 02.78 e Innertube conducono alle diverse versioni di Survival of Serena stanno a indicare come per Feuerman queste bagnanti siano comunque tutte delle sopravvissute. Non si tratta di persone perennemente felici. Quello che lei coglie nei lavori in cui le ragazze appaiono serene è un momento di grazia nel mare tempestoso della vita. Il mare è spesso utilizzato come metafora di difficoltà da attraversare, tanto che nel linguaggio comune esiste l’espressone “un mare di guai”. Attraversare il mare presuppone coraggio e può comportare dei rischi. Questa simbologia, seppure sottesa, è una costante nell’opera di Feuerman, che al tempo stesso vede nell’acqua un elemento di rinascita. Ciò avviene sia in opere dall’impronta drammatica come EN2. 02.78 sia in quelle segnate da un momento di serenità. Ritroviamo lo stesso contrasto tra dramma e serenità nel dittico A Visit To / A Visit From / The Island (1983) di Eric Fischl, artista statunitense che agli inizi degli anni Ottanta è più volte tornato sul tema dei bagnanti.
Le sue tele di quegli anni presentano spesso atmosfere e soggetti che rimandano ai dipinti di Joaquín Sorolla, nonostante esprimano una esplicita sensualità che non è presente nei quadri del pittore spagnolo. Anche Fischl come Feuerman ha avvertito l’esigenza di esplorare risvolti più cupi e drammatici dell’esistenza usando la stessa ambientazione. In A Visit To / A Visit From / The Island, ha creato un confronto tra due scene ambientate sulla stessa spiaggia. Nella prima tela, una famiglia di bianchi benestanti si gode una giornata di vacanza al mare: in primo piano una donna nuda prende il sole sdraiata su un materassino galleggiante, mentre accanto a lei un bambino si immerge per esplorare il fondale con una maschera. Alle loro spalle un uomo e un ragazzino stanno accanto a un windsurf e un gommone. Il ragazzino vicino al surf è l’unico a non essere nudo. Nella seconda tela la scena non è altrettanto serena. Il cielo e il mare sono scuri e agitati, mentre sulla spiaggia ci si affanna per trarre in salvo dei profughi haitiani che hanno fatto naufragio. Per alcuni di loro sembra essere troppo tardi: i loro corpi seminudi sono distesi sulla sabbia. Uno dei corpi ha lo stesso orientamento di quello della donna che prende il sole nel pannello attiguo, mentre l’uomo in primo piano, riverso a pancia in giù, è appena coperto da due stoffe che richiamano il colore del mare e dei corpi dell’altra tela.
Nella coincidenza di interesse per questi temi da parte di Feuerman e Fischl si possono leggere i turbamenti e le contraddizioni di un periodo spesso etichettato come politicamente disimpegnato i cui risvolti sono testimoniati, oltre che da EN2. 02.78, anche da altre opere di Feuerman. Accostando quest’opera a Survival of Serena, realizzata tempo dopo, si avverte lo stesso corto circuito che si riscontra in A Visit To / A Visit From / The Island di Fischl.
Al pari di quello delle bagnanti, un altro tema caro all’arte a cavallo tra il XIX e il XX secolo è quello della danza. Nel 1981, Feuerman ha affrontato questo tema con una serie di sculture che presentano un corpo frammentato (Aspiration, Audition, Carole’s Toe Shoes, Dress Rehearsal, Hands Breaking In The Toe Shoes, A Little Workout, Relevé): gambe dai muscoli in tensione, piedi nella quinta posizione che calzano scarpette da balletto rosa, mani che stringono una scarpetta per ammorbidirne la punta o ne annodano i nastri, la parte inferiore di un corpo in equilibrio sulla punta di un piede. Si tratta di parti del corpo che riescono a restituirci l’energia, lo sforzo, la fatica di un corpo femminile che possiamo provare a ricostruire mentalmente, come si fa talvolta con i frammenti della statuaria antica emersi nei siti archeologici. In questo caso non si tratta dei resti di un’opera andata in frantumi, ma di parti scelte con cura per l’energia che riescono a sprigionare nonostante siano avvolte in un delicato tessuto di raso rosa, oltre che per la capacità di evocare la forza femminile. Un altro lavoro di quello stesso periodo, Bubbles (1981), presenta un corpo frantumato. A comporlo sono due gambe tagliate sotto le cosce e sopra i polpacci, due mani che tengono un flacone di liquido per bolle di sapone e un cerchietto con una bolla non ancora staccatasi, oltre alla parte inferiore di un volto con le labbra arricciate, come a soffiare. I monconi di gambe sono piegati e appoggiati su un frammento di panca. Le singole parti del corpo sembrano emergere dalla parete come in una allucinazione terrifica, resa ancora più cruda dal materiale raggrumato in coincidenza con i tagli. Bubbles si pone in netto contrasto rispetto alle figure femminili pacificate in una giornata assolata in spiaggia.
Come si giustifica all’interno della produzione di Feuerman una rappresentazione di tale crudezza, realistica nel dettaglio e irrealistica nella composizione? Questa incompletezza non è solo fisica e richiama un profondo disagio interiore. È evidente che per Feuerman il corpo non è solamente quello sano degli atleti, delle danzatrici o delle sue bagnanti, ma è anche un terreno di sofferenza fisica e psichica.
L’arte del XX secolo, ben lontana dall’aver rotto con la tradizione, si è confrontata costantemente con i motivi, le ricerche, i momenti di svolta, i capisaldi, ma anche le espressioni minori che l’hanno preceduta. Il corpo umano è uno dei soggetti maggiormente esplorati dagli artisti che, copiandolo fin nei minimi dettagli o distorcendolo in una rappresentazione antinaturalistica, cercano nella sua esplorazione elementi rivelatori per la propria ricerca. Uno dei motivi in cui il corpo è protagonista è quello delle bagnanti, molto frequentato tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi del Novecento, e affrontato in modo diverso nelle versioni scultoree di Feuerman.
In pittura il corpo delle bagnanti è circondato da un contesto. L’acqua, la terra, la vegetazione, il cielo, la luce, gli alberi sono elementi fondamentali di queste composizioni. In una scultura classica è chi guarda a immaginare il contesto. Nella scultura di Feuerman il contesto si legge, invece, sulla pelle del soggetto ed è dato dalle gocce d’acqua, dal colorito, dai volti arrossati dal sole, dal segno lasciato dal costume su un corpo abbronzato.
Nella seconda metà degli anni Sessanta gli iperrealisti della prima ora avevano guardato più alla realtà che alla storia dell’arte, mentre nella scultura di Feuerman ci sono continui rimandi alla storia dell’arte. Questo suggerisce che la posizione di Feuerman è sin dagli esordi quella di un’artista postmodernista, mentre gli iperrealisti erano ancora radicati nel Modernismo. Così nelle bagnanti di Feuerman affiora la memoria di quelle di Pierre-Auguste Renoir e di Joaquín Sorolla, ma anche dei ragazzi in spiaggia di Thomas Eakins, come dei soggetti della statuaria greco-romana o egizia, dei dipinti del neoclassicismo francese o del realismo magico italiano degli anni Trenta. In particolare, c’è una relazione tra i soggetti di Feuerman e i dipinti postimpressionisti di Sorolla, nei quali l’artista valenciano cattura un momento felice in spiaggia. Ovviamente non mi riferisco al linguaggio, ma allo stato d’animo che guida i due artisti nel voler cogliere quella sensazione di incanto e di pienezza che si prova nell’immergersi nell’acqua del mare o nell’abbandonarsi al calore del sole lasciando che l’alito del vento asciughi la pelle. Per entrambi gli artisti è poi importante il modo di rendere l’acqua e la luce, anche se per Feuerman il focus dell’opera è il corpo mentre per Sorolla è la natura in cui il corpo è immerso.
Per quanto ardito, il riferimento a Sorolla è d’aiuto per capire la singolarità dell’opera di Feuerman rispetto a quella dei superrealisti puri e duri, nel cui lavoro emerge una visione più oggettiva che in qualche modo li avvicina al contesto culturale che ha partorito i minimalisti per il modo in cui raffreddano ogni emozione. Quel che Feuerman ci mostra nelle sue sculture non è la fotografia della realtà, ma il riflesso di una sensazione che si è formata nella sua mente osservando i bagnanti sulle spiagge di Long Island. Le bagnanti e i nuotatori di Feuerman hanno corpi armoniosi e non c’è turbamento sui loro volti. Anche la postura è rilassata. Questa rappresentazione idilliaca ha però in sé la ferita della transitorietà che si avverte proprio in quei momenti in cui tutto sembra essere perfetto. Il retrogusto amaro dato dal senso di transitorietà è rappresentato plasticamente da quelle goccioline d’acqua che punteggiano i corpi e che, nel restituirci il luccichio della luce, sono il segnale di un cambiamento che si verificherà di lì a poco. Di riflesso, anche la bellezza di queste figure dai corpi perfetti trasmette un senso di caducità.
Quello delle bagnanti è un tema iconografico che lascia pensare che il punto di vista dello spettatore sia quello di chi, nascosto tra la vegetazione, sta spiando un momento di intimità e ammirando la sensualità di quei corpi che il più delle volte rivelano un atteggiamento pudico e tendono a coprirsi. Lo stesso atteggiamento è presente anche in molte statue classiche o dipinti antichi che rappresentano Afrodite anadiomene.
Contrariamente a quanto avviene nella maggior parte di queste rappresentazioni del passato, la sensualità delle bagnanti di Feuerman non è subordinata allo sguardo altrui, a cui sembrano del tutto indifferenti. Vivono qui e ora e sono sole con se stesse. Chiunque può avvicinarsi e guardarle senza che questo alteri l’impressione di completo raccoglimento che le sculture trasmettono. La percezione dello sguardo altrui sembra lontanissima dai pensieri di queste donne e di conseguenza anche il potenziale erotico del soggetto si smorza. Le bagnanti di Feuerman sono un mondo a sé, come le isole da cui talvolta prendono il nome. E come isole sorgono dal mare e traggono la loro forza dall’acqua. È nell’isola di Cipro che Afrodite – soggetto rappresentato o evocato da Feuerman in diverse sculture – tocca per la prima volta terra, dopo essere nata dalla spuma del mare.
L’acqua che, come la dea stessa, è simbolo di rinascita e continuità della vita, è un elemento ricorrente nell’iconografia di questa divinità. Iconografia che emerge in sculture come Reflections (In Paradiso), del 1985, che raffigura una donna nuda che solleva le braccia e tampona i capelli con un asciugamano. Quale che sia il soggetto delle sculture di Feuerman, a far da filo rosso tra i suoi lavori è il corpo umano come un momento di armonica sintonia con gli elementi della natura. Da qui le pose dei soggetti che rimandano alla meditazione zen o degli atleti in equilibrio sulle braccia in un momento effimero di benessere psicofisico, che non ne esclude altri attraversati dalla consapevolezza della precarietà dell’esistenza.
[1] Carole A. Feuerman, e-mail all’autore, 14 novembre 2023
[2] Carole A. Feuerman, e-mail all’autore, 3 gennaio 2024
[3] Phyllis Tuchman, Fragments and Painted Plasters, in Segal, Abbeville Pr, 1992 p. 71-72.
[4] Carole A. Feuerman, e-mail all’autore, 2 gennaio 2024